Parlare di diritti e doveri del lavoratore in occasione del 1° maggio non è banale, ma molto utile per continuare a sensibilizzare e ricordare una giornata che affonda le sue radici nel passato, e ricorda l’impegno dei movimenti sindacali e gli obiettivi sociali ed economici raggiunti dai lavoratori dopo lunghe battaglie.

La nostra esperienza ci permette però di conoscere più da vicino un mondo del lavoro differente, che lotta ancora oggi in Italia e nel mondo per garantire pari diritti ed equità a tutti. Stiamo parlando del lavoro di persone con disabilità.
Come si approccia al mondo del lavoro chi vive una disabilità? Le aziende del nostro paese e non solo sono pronte ad affrontare e garantire un luogo di lavoro inclusivo ed equo?

Ce lo siamo chiesti in questo articolo, facendo riferimento a qualche dato e riportando l’esperienza diretta di Daniele Regolo, fondatore di Jobmetoo, la piattaforma digitale di e-recruiting che supporta l’ingresso nel mondo del lavoro di persone appartenenti a categorie protette.
Occupazione e disabilità oggi
Oltre un miliardo di persone, circa il 15% della popolazione mondiale, vive con una forma di disabilità e circa 110-190 milioni di individui sono costretti ad affrontare difficoltà “molto significative” nella vita di tutti i giorni, secondo quanto indicato dall’OMS nel primo Rapporto Mondiale sulla Disabilità.
Tema ancora più rilevante è quello del lavoro.
Infatti, nei Paesi dell’area Ocse, la percentuale di persone con disabilità che hanno un’occupazione è del 44%, rispetto al 75% dei normodotati.
Quali sono le ragioni per le quali si registra questo andamento? Quali sono le difficoltà che frenano oggi un’azienda ad assumere persone con disabilità?

Diverse sono le problematiche poste in evidenza.
La formazione
Le prime avversità partono indubbiamente già nel mondo della formazione, che nella maggior parte dei casi non riesce a supportare fino alla fine degli studi le persone con disabilità.
fonte:
Secondo il recente rapporto dell’UNICEF “Considerati, contati, inclusi” (“Seen, Counted, Included”), infatti, il numero di bambini e adolescenti con disabilità a livello globale è stimato in quasi 240 milioni.
I bambini con disabilità hanno il 47% di probabilità in più di non frequentare la scuola primaria, il 33% per la scuola secondaria inferiore e il 27% per la secondaria superiore.

L’accessibilità dei luoghi di lavoro
Questa difficoltà si riflette anche nel mondo del lavoro.
Dati complessivi mostrano che le percentuali di persone con disabilità che hanno un’occupazione sono più basse per uomini (53%) e donne con disabilità (20%), rispetto a uomini (65%) e donne normodotati (30%).
A ciò si aggiunge certamente una ridotta accessibilità agli spazi e alle tecnologie: l’ambiente di lavoro, infatti, è un importante luogo d’integrazione e di inclusione, e intervenire garantendo la sua effettiva accessibilità è imprescindibile per garantire a tutti pari diritti e autonomia.
A tal proposito la norma UNI EN 17210 specifica quali siano i requisiti funzionali di accessibilità e fruibilità dell’ambiente di lavoro coerentemente con un approccio denominato ‘’Design for all’’. Un principio europeo intercettato anche nel nostro Paese e ribadito nel PNRR e dall’European Concept for Accessibility (ECA 2013) che opera a garanzia dell’inclusione sociale, l’uguaglianza e l’evoluzione umana nel suo complesso.
Disabilità e occupazione in Italia: i dati
Per conoscere appieno il fenomeno, e conseguentemente attuare delle misure efficaci per colmare i divari esistenti in tema di inclusività, è necessario poter fruire di dati qualitativamente e quantitativamente adeguati.
Questi dati sono, o sarebbero, i risultati di un monitoraggio accurato, realizzato da autorità competenti in materia.

Purtroppo, fino a pochi anni fa, in Italia, questo tipo di monitoraggio non ha mai visto una reale attuazione, favorendo un monitoraggio di tipo campionario che non restituisce un’immagine esatta del fenomeno.
Oggi, con lo sviluppo dell’Industria 4.0 – o 5.0, stando alle più recenti novità in materia – dovremmo aspettarci di assistere ad un profondo cambiamento nel tessuto istituzionale e sociale, tanto per una necessità statistica quanto per una conseguente e più equa allocazione delle risorse da parte delle istituzioni.
Il tema è cruciale per numerose ragioni: principalmente il collocamento delle persone con disabilità nel mondo del lavoro restituisce effetti benefici alla persona, che vede concretamente tutelata la propria dignità e autonomia, sia da un punto di vista finanziario che relazionale.

Inoltre, influisce positivamente anche sulla società perché il sistema economico trarrebbe certamente beneficio dalla forza lavoro e dalle potenzialità inespresse delle persone con disabilità.
Disabilità e occupazione in Italia: le normative
Parlando più nello specifico della normativa italiana sul tema, da tempo sono state introdotte leggi dirette a favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.
Un esempio ne è la Legge 68/99, che obbliga le aziende che hanno tra i 15 ei 50 dipendenti, ad assumere una persona con disabilità e il numero aumenta insieme al numero dei dipendenti.
Tuttavia, se è bene analizzare lo status quo e mettere in risalto quanto ancora si possa fare sul tema, ci teniamo a raccontarvi un esempio di esperienza virtuosa tutta italiana, che contribuisce fattivamente con il loro lavoro a promuovere una cultura dell’inclusione nel mondo del lavoro non intesa come un obbligo, ma piuttosto come una scelta e un valore aggiunto.
Vi raccontiamo la storia di Jobmetoo.
L’esperienza di Jobmetoo
Conoscere e raccontare l’esperienza di Jobmetoo ci ha permesso di capire meglio quali siano le esigenze delle persone con disabilità in cerca di occupazione, perché l’azienda nasce proprio dal bisogno di creare possibilità di lavoro per persone con disabilità, rendendosi tramite digitale tra aziende e personale.
Fondata a Daniele Regolo nel 2012, Jobmetoo (tradotto “lavoro anch’io”), è una vera e propria agenzia per il lavoro che, sfruttando le potenzialità della rete, si occupa della ricerca e selezione di personale e propone, grazie a professionisti specializzati, progetti di inclusione aziendale.
Il team di Jobmetoo è composto da persone con disabilità, ma non solo, dando prova concreta del valore che ha l’integrazione in azienda.

Come iscriversi?
Per aderire bastano pochi click: ci si iscrive gratuitamente al portale, si compila il curriculum, si dà un’occhiata in bacheca per cercare le posizioni aperte e si invia la propria candidatura.
I risultati di inserimento di questa attività sono sorprendenti! L’86% delle selezioni di personale affidate all’agenzia, infatti, vengono chiuse con successo. Possiamo dire, quindi, che il sistema che funge da filo diretto tra chi cerca un lavoro e le imprese, quindi, funziona.

Per sapere di più sul progetto innovativo nato come startup, che oggi è parte del gruppo Openjobmetis, unica agenzia per il lavoro quotata in Borsa Italiana, abbiamo intervistato il fondatore Daniele Regolo. Anche lui ha affrontato le difficoltà di inserimento lavorativo comuni per una persona con disabilità, avendo una grave disabilità uditiva.
Ecco le domande che gli abbiamo fatto.

1. Qual è stato il tuo primo approccio al mondo del lavoro?
Più che un approccio, si è trattato di molteplici avvicinamenti al mondo del lavoro. Mi riferisco al fatto che l’insieme degli impieghi svolti dopo la laurea non potevano rappresentare un percorso organico, lasciandomi, di fatto, con poca esperienza spendibile per il mio cv. Possiamo dire che ho toccato con mano, ma parliamo ormai di 25 anni fa, tutte le criticità del collocamento mirato. Oggi possiamo vivere e raccontare storie molto diverse: non ancora perfette, ma decisamente migliori rispetto al passato.
2. Come nasce il progetto Jobmetoo? Qual è la vostra mission?
Jobmetoo, quale agenzia di recruiting esclusivamente focalizzata sulle persone con disabilità, nasce (siamo intorno al 2012) proprio sulle ceneri di quelle esperienze che mi avevano portato poco o nulla a livello di crescita di professionalità: istruttore sportivo, rappresentante di accessori per calzature, redattore di un teletext di una tv privata, e molto altro ancora. Ho provato a “staccarmi” dai panni del candidato per immaginare un servizio che rispondesse alle reali esigenze delle aziende.
Siamo partiti ufficialmente nel 2014 e nel 2020 siamo stati acquisiti da Openjobmetis, l’unica Agenzia per il Lavoro quotata in Borsa Italiana. Da sempre, e oggi ancora di più, abbiamo la mission di rendere il rapporto tra lavoro e disabilità sempre più “normale”. Un obiettivo poco appariscente, forse, ma molto incisivo nella realtà.
3. Quali sono gli obiettivi futuri che intendete realizzare?
Partendo dalla nostra expertise sulla disabilità, stiamo estendendo le nostre competenze a tutti i temi di Diversity & Inclusion, oggi molto sentiti e partecipati dalle aziende, non solo quelle più grandi. Ci piace l’idea di rappresentare un “hub” attorno al quale si accentrino le tante competenze che i diversi attori hanno, ma che non sempre sono in grado di valorizzare.
4. Quali comportamenti virtuosi dovrebbero assumere le aziende nei confronti delle persone con disabilità? Quali gap ancora da colmare?
Innanzitutto, credo sia intellettualmente corretto sfatare un mito: le aziende non sono “insensibili”. Sono composte da persone, e quindi possiamo incontrare aziende più attente ed altre più superficiali. A me piace dire che sono ancora sulla via dell’apprendimento. Detto questo, la base per evolvere passa sempre per il diffondersi di una cultura inclusiva e, soprattutto, promossa con intelligenza, perché il rischio di inflazione è piuttosto elevato. I gap maggiori sono da colmare per tutto ciò che riguarda la carriera dei lavoratori e delle lavoratrici con disabilità: in alcuni casi, è ancora un tabù.
5. Cosa può fare ciascuno di noi, nel suo piccolo, per supportare la vostra mission?
La disabilità tocca circa un miliardo di persone nel mondo: questo il dato impressionante che le statistiche ci restituiscono. Ne siamo inevitabilmente toccati tutti, quindi tutti noi dobbiamo approcciarci alla disabilità normalizzando la relazione con questa condizione. Come recita la Convenzione ONU sui diritti delle Persone con disabilità, non ci deve più interessare la menomazione in sé, ma il rapporto che si genera tra la persona disabile e l’ambiente che la circonda: abbattere ogni barriera, fisica e culturale, dovrebbe essere il nostro primo pensiero per favorire l’autodeterminazione di persone che richiedono indipendenza e non assistenza.
